I biotetergeni agenti sui sistemi impermeabili ROOFING

Ing. Roberto Madorno – Arch. Mario Monardo

 

 Abstract

In questi ultimi anni, nel settore delle impermeabilizzazioni, si parla sempre maggiormente di sistemi roofing, termine con il quale si indicano tutti quei sistemi impermeabili che possono essere lasciati a vista sulle coperture.

A questa tipologia di sistemi appartengono:

le membrane bituminose ardesiate;

i manti sintetici;

i rivestimenti elastomerici (poliuretani o poliuree);

le guaine liquide dove il poliuretano (PU) rappresenta l’elemento base per la maggior parte di tali sistemi.

I fenomeni di degrado che agiscono sui rivestimenti roofing possono essere di diversa natura e derivano da molteplici cause spesso correlate tra loro. A volte sono fattori intrinsechi, alterazioni che dipendono dalla natura propria del sistema impermeabile come ad esempio il suo naturale processo di invecchiamento oppure derivano dall’impiego di materiali non idonei, dalla cattiva posa in opera o dalla carenza di progettazione del sistema impermeabile. In altri casi, invece, i fattori di degrado dei sistemi roofing sono rappresentati da tutti quegli elementi che influiscono dall’esterno sulla durabilità del sistema, quali ad esempio:

  • eventi meteorologici e climatici (pioggia, freddo, sole, grandine);

  • inquinamento ambientale;

  • aggressioni biologiche;

  • fenomeni di biodeterioramento.

Attraverso questo articolo si vuole iniziare a trattare un argomento spesso sconosciuto, sottovalutato e poco trattato tanto dai produttori quanto dai progettisti e applicatori/manutentori. Parliamo dei fenomeni di biodeterioramento che si rilevano sulle coperture e in particolare sui sistemi roofing.

È bene partire dalla definizione di biodeterioramento: fenomeno di alterazione e di degrado di un determinato supporto o substrato, di origine naturale o artificiale, innescato da organismi viventi in grado di colonizzarlo (degrado chimico e fisico).

I biodeteriogeni sono quegli organismi e/o quelle comunità microbiche in grado di provocare il biodeterioramento dei monumenti architettonici e artistici.

I fenomeni di biodeterioramento sono ben conosciuti e studiati da tutti gli addetti che operano ad esempio nel settore del restauro dove il problema della rimozione degli organismi biologici infestanti (vegetali e animali) interessa molti manufatti architettonici all’aperto o in stato di abbandono, soprattutto in climi caldi e umidi e in condizioni ambientali e climatiche favorevoli all’attecchimento e alla crescita dei diversi organismi. Al contrario, nel settore delle impermeabilizzazioni sono davvero in pochi a conoscere tali problematiche e le dannose conseguenze.

È bene rimarcare che i biodeteriogeni agiscono indistintamente su tutti i sistemi impermeabili roofing (membrane bitume polimero ardesiate e non, manti sintetici, sistemi elastomerici a base poliureica e poliuretanica, guaine liquide acriliche, ecc…) e gli attacchi chimici indotti su tali sistemi non sono quasi mai affrontati nei testi tecnici e non vengono spesso nemmeno accennati o trattati nei manuali di posa delle più importanti aziende produttrici di impermeabilizzazione. Ci si limita a scrivere in modo assai superficiale su qualche scheda tecnica o su qualche articolo…… sulla copertura piana si raccoglie lo sporco dei camini o di altre sostanze portate dal vento….. spesso in determinate aree si accumulano l’ardesia od il talco cosparsi come antiaderenti sulle facce dei manti bituminosi….. prima di eseguire la verniciatura protettiva della guaina è necessario fare delle valutazioni sullo stato della superficie per avere un’idea sulla quantità e consistenza dello sporco accumulato sul tetto….. In definitiva non si spiega nulla e non si forniscono corrette indicazioni sul perché e sul come operare.

Sono davvero pochi i tecnici in grado di fornire consigli pratici e utili alla risoluzione di tali problematiche.

C’è da chiedersi come mai così scarsa informazione su questo problema molto importante e diffuso tenendo presente che oggi numerose coperture in Italia ma anche all’estero vengono realizzate con sistemi impermeabili a vista. La risposta è molto semplice e quasi scontata. Purtroppo la causa principale è sempre la stessa, ossia la scarsa competenza e formazione tecnica di molti addetti che operano nel settore delle impermeabilizzazioni.

L’azione degenerativa dei biodeteriogeni sui rivestimenti roofing a vista è estremamente attiva oltre che silente e si esplica attraverso apprezzabili attacchi poco visibili ad occhio nudo, perlomeno fino a quando diventerà possibile evidenziare la crescita di muschi e successivamente di piante.

Di seguito si indicano i principali fattori ecologici che influiscono sui fenomeni di biodeterioramento:

ambiente;

ubicazione;

pH;

disponibilità di fattori nutrienti;

temperatura (optimum termico):

inquinamento atmosferico (anidrite carbonica, composti dello zolfo e particolato atmosferico, principale causa dell’annerimento delle superfici esposte all’aperto).

Gli attacchi dei biodeteriogeni sui sistemi roofing vengono amplificati dalla incuria in cui versano numerose coperture e dall’assenza di manutenzione e di pulizia delle superfici, ma soprattutto dall’accumulo di terriccio elemento molto ricco di nanoparticelle nutrienti (principalmente sostanze nitrificanti derivanti da guano secco polverizzato).

Le origini del fenomeno di biodeterioramento

Come anticipato nell’abstract i fenomeni di biodeterioramento si manifestano in particolare sulle coperture trattate con sistemi roofing o con specifiche finiture impermeabili riflettenti (cool roof).

Su una copertura in pendenza, proprio in virtù della sua inclinazione, è evidente come la superficie sia più pulita, mentre su una copertura piana, soprattutto in presenza di aree di depressione e ristagni di acqua, il fenomeno risulta essere più accentuato e protratto nel tempo. In queste zone si rileva il contatto e l’adesione di particelle di terra ed altre sostanze che fungono da fertilizzanti con il sistema roofing.

Attraverso alcune microscopie elettroniche a raggi X e microscopie ottiche in sezione stratigrafica, analisi condotte ad esempio sui campioni di membrane bitume-polimero applicate 2 e 5 anni prima della posa di protettivi roofing, si è riscontrato il chiaro accumulo di spore funghinee, licheni, funghi in fase di crescita, terriccio superficiale (aereo e non proveniente dalla guaina) a base di carbonato calcio, silicati, alluminati, nitrati, lipidi, particelle di carbone e solfati. La dinamica di accumulo segue incredibilmente la stessa dinamica di sviluppo e degrado che si è studiata per decenni su numerosi monumenti esposti (black crust) alle intemperie.

Le membrane bitume-polimero lisce, ad esempio, evidenziano anche un attacco biodeteriogeno con una velocità di degrado ben 5 volte più elevata rispetto ad altre superfici, presenti nello stesso cantiere o in aree estremamente limitrofe, e trattate con guaine ardesiate o guaine con finitura granigliata.

I manti impermeabilizzanti con più concentrazione di nutrienti (fertilizzanti aerei) sono riconducibili a zone vicine a terreni agricoli attivi (anche a distanza di 3 – 5 km) dove l’utilizzo di fertilizzanti e il successivo processo di essicazione e polverizzazione della superficie del terreno fertilizzato, genera la formazione di aeroparticellato misurabile in scala micrometrica e nanometrica in funzione delle caratteristiche del terreno. Sulle coperture e sui sistemi impermeabili roofing agiscono altri elementi degenerativi quali gli agenti patogeni di natura biologica. Il rischio “volatili”, come la presenza di piccioni o di altri volatili, è divenuto ormai nelle nostre città un serio problema non solo dal punto di vista igienico-sanitario. Il guano dei piccioni, è corresponsabile dei danni da corrosione alle strutture. I luoghi dove solitamente questi volatili trovano riparo (sottotetti, gronde, volte, davanzali, cornicioni) e le zone infiltrate dalla presenza di sostanza organica (tetti, muri, supporti lignei), si popolano di agenti patogeni e parassiti derivanti dai detriti organici come ad esempio gli escrementi e i resti dei volatili morti, elementi estremamente pericolosi in quanto contengono agenti infettanti (miceti del genere Cryptococcus e Chlamydophila psittaci) che restano vitali e portatori di contagio anche in seguito all’essicamento, momento in cui tali sostanze possono più facilmente disperdersi nell’aria che respiriamo. Sulla pericolosità di tale situazione basta pensare che piccioni, tortore, storni, corvi, gabbiani e passeri, sono tutti portatori di almeno 60 malattie.

I batteri si espandono liberamente nell’aria e giungono soprattutto sulle coperture, contaminando fortemente i sistemi roofing. Si aggiunga che il composto organico a reazione acida, rappresenta l’elemento costitutivo ideale per la proliferazione e moltiplicazione di organismi microscopici, quali muffe e funghi che ricoprono le superfici impermeabilizzate.

La contaminazione fecale dell’ambiente, la polverizzazione e la dispersione del guano, la presenza di nidi soprattutto sulle coperture degli edifici, causano sui sistemi impermeabili a vista danni talvolta irreparabili, oltre che rappresentare potenziali occasioni di diffusione e di contagio di malattie infettive anche per l’uomo stesso.

Incremento dei problemi negli ultimi anni

Negli ultimi anni sul mercato sono apparsi e sono sempre più diffusi i protettivi impermeabili realizzati mediante l’impiego di membrane liquide soprattutto di colore bianco, i cosiddetti cool roof, sistemi che vengono impiegati per proteggere soprattutto i manti bituminosi fortemente degradati dalla elevata esposizione ai raggi solari oltre che per abbassare la temperatura negli ambienti sottostanti la copertura dell’edificio.

Si tratta per lo più di prodotti all’acqua che si possono diluire con acqua al fine di ottenere una prima mano da usare come promotore di adesione o fissaggio del supporto trattato con scaglie di ardesia o con graniglia (spesso non perfettamente o per nulla aderente al supporto della guaina).

Sui supporti rivestiti con guaine bituminose, la neutralizzazione delle zone con accumulo di composti organici (terriccio e sostanze fertilizzanti) non viene quasi mai realizzata in modo corretto. Infatti, basta chiedere a più applicatori, anche molto esperti, se hanno mai impiegato una sostanza antivegetativa o antibatterica (antifunghinea) a spruzzo. Risponderanno tutti, nella maggioranza dei casi, di non conoscere tali prodotti ma soprattutto di non conoscere l’importanza di tali operazioni manutentive. Tutt’al più si limitano a pulire i vecchi supporti in guaina con acqua a pressione (forse a distanza controllata….) eseguendo una contemporanea aspirazione dei residui liquidi melmosi che si producono durante questi lavaggi. Un simile ciclo di preparazione dei vecchi supporti viene indicato e descritto solo in pochi manuali di posa di prodotti roofing.

La scuola svizzera, ad esempio, per l’ottenimento del patentino di impermeabilizzatori fornisce indicazioni specifiche per la preparazione dei supporti ma altrettanto fanno diverse aziende in Spagna, Giappone e USA. Si tratta di aziende produttrici di guaine bituminose e guaine liquide acriliche all’acqua.

Lo sviluppo dei cool roof acrilici all’acqua negli USA

Le guaine acriliche all’acqua, in USA, sono ormai considerate resistenti all’esposizione all’esterno per oltre 10 anni senza prevedere opere di manutenzione. Tali considerazioni non sono teoriche ma nascono da analisi parametriche e ricerche condotte da oltre 30 anni e iniziate dalla famosa azienda Rhom & Haas oggi Dow Chemical Company.

Alcune multinazionali ma anche istituti di ricerca privati negli USA hanno studiato e lavorato per anni sulla resistenza dei sistemi cool roof. Sono state condotte attente ricerche con “diverse metodologie di analisi di invecchiamento accelerato”, non attenendosi esclusivamente alla metodologia indicata nella normativa europea per il comparto civile.

Le ricerche hanno evidenziato la resistenza di questi sistemi ed un decadimento poco significativo o apprezzabile delle proprietà meccaniche e chimiche dei rivestimenti protettivi.

Sistemi cool roof con matrice polimerica acrilica o stirolo acrilica all’acqua

Cosa accade alla guaina liquida (cool roof) a matrice polimerica acrilica o stirolo acrilica all’acqua nel momento in cui viene applicata su superfici non perfettamente pulite e/o neutralizzate?

Applicare una guaina acrilica all’acqua su un supporto contaminato da spore funghinee latenti, funghi microscopici in fase di crescita, terriccio, sostanze nitrificanti (aeroparticellato da guano o fertilizzanti) significa pennellare, rullare, spruzzare o spalmare una pasta contenente acqua su un supporto inquinato.

Tali sostanze contaminanti verranno quasi istantaneamente integrate nella membrana acrilica all’acqua (per trasmissione diretta, mescola e penetrazione osmotica agenti in contemporanea) durante la sua posa in opera e quindi non ancora perfettamente asciutta. Esplicata la fase di catalisi la neomembrana acrilica all’acqua cosi formata (ormai senza acqua perché asciutta) avrà integrato all’interno del suo spessore (generalmente da 2 a 4 mm) tutti gli inquinanti catturati dal supporto durante la fase di posa.

Conoscere le cause di degrado significa evitare gravi errori in fase di progettazione e allo stesso tempo serve a riconoscere le cattive condotte da parte dei posatori.

L’utilizzo di sostanze o additivi antibiodegenerativi nei formulati dei sistemi cool roof

Le guaine acriliche all’acqua, sebbene siano perfettamente impermeabili in tutto il loro spessore (variabile da 2 a 4 mm) tendono sempre ad acquisire e trattenere in superficie (durante una pioggia o una zona di ristagno d’acqua) un certo quantitativo di acqua variabile dal 5 – 25% in massa, in funzione della qualità sia del formulato che della matrice polimerica.

L’acqua viene trattenuta perché inglobata nei primi microns di spessore superficiali della membrana, ed evaporerà in seguito al sorgere del sole o a conclusione del fenomeno temporalesco. Durante questa fase però tutte le guaine liquide acriliche all’acqua, ma anche le guaine con tecnologia MS o poliuretaniche monocomponenti al solvente o all’acqua, tendono a trasmettere verso tutto il loro spessore il vapore acqueo accumulatosi in superfici o in condizioni di ristagno d’acqua.

Come già riconosciuto da una nutrita serie di ricerche e pubblicazioni scientifiche, in merito alle membrane permeabili alla diffusione del vapore, l’acqua si diffonde penetrante ed inarrestabile all’interno dei materiali non allo stato liquido ma allo stato di vapore. Pochi sono i polimeri in grado di limitare il passaggio dell’acqua allo stato di vapore. Il polimero notoriamente più conosciuto come barriera al vapore, ai gas e all’azoto è la gomma butilica pura. Seguono in ordine, il teflon, il poliestere vinilestere in diluente reattivo monomero di stirene e le poliuree “pure” cioè non quelle a basso costo tagliate con olii riciclati plastificanti. Tutte le altre matrici polimeriche, persino molte epossidiche in commercio, garantiscono caratteristiche da freni vapore ma non da barriera al vapore efficiente al 100%.

Durante il passaggio del vapore attraverso la membrana liquida ormai asciutta e formata, tutte le spore funghinee e le sostanze biodeteriogene, rimaste intrappolate nel suo spessore, iniziano a reidratarsi dando luogo ad un processo di crescita endogena (interna) di deterioramento.

Approfondite analisi condotte sulle sostanze antibiodeteriogene inserite durante il processo produttivo delle membrane acriliche (ma anche di altri tipi di membrana) hanno dimostrato che il fenomeno degenerativo si verifica anche in quelle guaine liquide, più o meno permeabili al vapore acqueo con elevati contenuti di sostanze antimicotiche o antibiodeteriogeni ad ampio spettro. Pochissimi sono i blends di antibiodeteriogeni ad ampio spettro che operano per anni rimanendo sempre latenti o attivi per anni (più di 10) dentro lo spessore della membrana liquida.

Conclusioni

Occorre chiarire che in merito alle problematiche di degrado dei sistemi roofing esistono anche altri fenomeni di degrado, più conosciuti, analizzati e trattati da diversi studiosi che con specifiche ricerche e numerose pubblicazioni, soprattutto in lingua inglese (purtroppo poche in lingua italiana), si dedicano da anni a questo settore.

Con il presente articolo si è voluto descrivere un fenomeno di degrado poco conosciuto e approfondito in quanto la trattazione di questo argomento richiede l’intervento di professionisti con ventennale esperienza in cantiere e soprattutto necessita la compartecipazione di ricercatori nel campo della biologia, botanica, microbiologia, chimica dei polimeri ed ingegneria dei materiali. Pertanto, è evidente che tali argomenti necessitano comunque di ulteriori e più approfondite analisi parametriche sulle quali l’Ing. Madorno e l’Arch. Monardo stanno lavorando con l’aiuto di ricercatori di spicco a livello europeo nel campo della ricerca avanzata nelle materie sopracitate.

Grazie a tale contributo si cercherà di redigere prossimamente la seconda parte di questo “abstract” di presentazione, con la speranza che tale documento possa essere di supporto per i progettisti, per gli applicatori/manutentori e soprattutto per i produttori di sistemi roofing al fine di valutare i vantaggi e gli svantaggi sull’utilizzo eccessivo di prodotti antibiodeteriogeni all’interno delle formulazioni dei prodotti. I biodeteriogeni migrano lentamente ma costantemente dalla matrice del formulato asciutto e vengono poi dispersi (a causa delle piogge, vento, ecc) nell’ambiente.

L’impiego di antibiodeteriogeni, sostanze ritenute nocive e tossiche, in percentuali superiori all’1% in massa nelle formulazioni dei roofing renderebbe obbligatoria l’etichettatura dei prodotti con simboli di pericolo. Infatti, in funzione dello spessore medio di un roofing liquido o di una membrana preconfezionata in rotoli l’utilizzo di quantità di antibiodeteriogeni inferiore all’1% rende i prodotti inattaccabili solo per i primi 2 – 4 anni di vita. Per il raggiungimento di protezioni decennali è necessario l’utilizzo nei prodotti roofing di antibiodeteriogeni in quantità ben superiori all’1% in massa salvo nel caso di impiego di tecnologie e formulazioni di avanguardia che poche aziende in Europa possono vantare. Una elevata percentuale di antibiodeteriogeni può garantire un costante rilascio in un arco temporale molto lungo (anche decennale) soprattutto a seguito delle piogge che favoriscono la trasmigrazione di queste sostanze sulla superficie del prodotto proteggendolo dall’aggressione delle sostanze biodeteriogene.

E’ comunque opportuno ricordare che per garantire la lunga durabilità di qualsiasi sistema roofing è necessario, oltre ad un buon prodotto, elaborare una valida progettazione, provvedere ad una corretta applicazione ed eseguire una adeguata manutenzione della struttura.

Ing. Roberto Madorno – Arch. Mario Monardo

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